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IL SUSHI NON E’ NATO IN GIAPPONE

Ciao Domini!🍓

Oggi parliamo del piatto d’eccellenza della cucina Giapponese, che per molti è ormai una vera e propria ossessione, il sushi!

sushi giapponese
Fonte.

Oggi ci addentriamo nella vera storia di questo incredibile piatto, dalla sua forma originaria alla versione che conosciamo oggi!

E sì perchè il sushi che siamo abituati a mangiare in realtà è un’ invenzione abbastanza recente.

Anzi a voler essere sinceri il sushi non è neanche nato in Giappone! 

Occorre quindi fare un bel salto temporale.

Ma prima di tuffarci nel passato domandiamoci:

CHE COS’E’ IL SUSHI?

La storia della parola sushi è complessa quanto la storia di questo piatto, tanto che ancora oggi si utilizzano kanji (ideogrammi) diversi a seconda dell’area geografica di appartenenza. Nella zona di Osaka, quella originaria del Sushi, è comune usare il kanji di “pesce e aceto”.

Si tratta di un kanji molto antico, la cui origine è databile intorno al periodo Heian (794-1185).

Ancora oggi esistono molti modi di scrivere la parola sushi, ma tutti derivano dall’antico vocabolo “suppashi”, che significa “acido”

Oggi per sushi intendiamo un piatto giapponese a base di riso preparato con aceto, zucchero e sale, accompagnato da una varietà di ingredienti, solitamente pesci, spesso crudi. 

Si ringrazia il ristorante Your sushi per la foto.

Quindi sarebbe logico pensare che l’acidità del termine “sushi” sia  data dall’aceto utilizzato per preparare il riso.

E invece no.

Perchè anticamente l’acidità del sushi, non era data dall’aceto, ma dalla fermentazione del pesce!

Il primo sushi infatti non era altro che pesce e riso fermentati..

IL SUSHI PIU’ ANTICO DEL MONDO

Ci troviamo intorno al 400 a.c . sulla penisola indocinese.

Penisola Indocinese.

A quel tempo l’Indocina era una sorta di confine tra il mondo induista e quello cinese.

Le popolazioni che ci abitavano erano dedite all’agricoltura, in particolare alla cultura del riso che, insieme alle verdure, erano l’alimento base della loro alimentazione

La carne era considerata cibo per nobili e i contadini preferivano utilizzare il proprio bue per lavorare la terra piuttosto che macellarlo. 

Queste zone erano (e sono ancora oggi) caratterizzate da un clima tropicale e subtropicale molto umido, adatto allo sviluppo di risaie, questo elemento, unito alla popolazione molto numerosa, ha fatto sì che il riso diventasse ben presto l’alimento base di queste zone, tanto che le popolazioni locali preferirono modificare il territorio puntando sulla coltivazione del riso piuttosto che sull’allevamento.

Una risaia del Sud Est Asiatico.

Quando era stagione, in quelle zone c’era una grande abbondanza di pesce, e presto si rese necessario imparare a conservare tutto questo pesce in eccesso per le stagioni in cui non sarebbe stato più disponibile.

Furono questi i presupposti che portarono alla scoperta della fermentazione del riso con il pesce.

La popolazione di questi luoghi scoprì che con il riso si poteva conservare il pesce: il riso infatti contiene amido che ha la proprietà, una volta fatto fermentare di produrre acido lattico che impedisce la putrefazione e riesce a preservare quegli alimenti ricchi di proteine, come il pesce d’acqua dolce e la carne. 

Ovviamente la popolazione non aveva idea di cosa fosse l’acido lattico e del perchè avvenisse questo processo, ma l’importante era il risultato, cioè pesce sempre disponibile anche quando non era stagione!

I pesci venivano conservati in grosse giare insieme a del riso cotto, la cui fermentazione ne permetteva la conservazione anche per mesi o anni. 

Questo sistema divenne talmente efficace che viene utilizzato ancora oggi in questi paesi (Thailandia, Laos, Myanmar, Malesia, ecc.)

Raccolta del riso in-Myanmar (Birmania)

Questo tipo di metodo di conservazione non potrebbe esistere senza lo sviluppo della coltivazione del riso.

La pianta del riso con i chicchi.

Ma c’è un “difetto” in questo procedimento: dopo un lungo periodo di conservazione, la parte di riso diventa troppo molle per essere mangiata e viene gettata.

IL PLA RAH

pla rha

Il Pla rah, piatto tipico Thai.

Un esempio di antenato del sushi ancora oggi esistente nel Sud Est asiatico è il “Pla Rah”, il pesce fermentato thailandese.

La sua preparazione è molto semplice:

Serve un qualsiasi tipo di pesce, grande o piccolo a seconda di come lo si vuole mangiare in dopo. I Pesci fermentati più grandi in genere si friggono in padella, mentre quelli più piccoli, a volte, si usano come condimento in altri piatti.

Dopo aver pulito il pesce, si estraggono gli organi e li si asciugano.

Poi si mescolano con sale e un po’ di riso cotto. Alcune persone aggiungono crusca di riso per un sapore più intenso.

E poi si mette il pesce, il sale e il riso in un contenitore con coperchio chiuso, assicurandosi che il coperchio sia abbastanza stretto e che non entri aria.

Poi lo si conserva in un luogo fresco e asciutto e lo si lascia fermentare per minimo un mese.

Trascorso questo mese si può mangiare.

Come vedremo questo procedimento è davvero molto simile al più antico sushi del Giappone, il funa-zushi.

Il pla rah è una parte importante della cucina tailandese e i thailandesi, come anche i cambogiani e vietnamiti, hanno una lunga tradizione nel mangiare pesce fermentato. 

MA CHE COS’E’ LA FERMENTAZIONE?

Il termine “fermentazione” deriva dal latino “fervere” (ribollire), termine usato per indicare l’aspetto del mosto durante la preparazione del vino.

Fermentazione del mosto d’uva.

La fermentazione è una trasformazione degli alimenti a carico dei microrganismi voluta e controllata, viene praticata in ogni luogo del mondo ed è nata, nella maggior parte dei casi, per la necessità di conservare i cibi.

Si tratta di un processo chimico naturale in cui microorganismi come lieviti, muffe e batteri colonizzano un alimento e metabolizzano l’energia contenuta nei suoi zuccheri, trasformandoli in alcol o acido, rendendo il cibo molto più ricco a livello nutrizionale.

L’alimento fermentato, inoltre, assume un sapore, un aroma e una consistenza caratteristici.

Nel caso del pesce fermentato sviluppa acidità ma anche umami.

La fermentazione è una delle più antiche tecniche di conservazione degli alimenti.

Tutte le tradizioni popolari di ogni parte del mondo hanno sviluppato tecniche per poter guidare e controllare lo sviluppo di questi microrganismi.

Con la fermentazione invece di far deperire il cibo in qualcosa di disgustoso, si può trasformare in qualcosa di delizioso, che si conserva a lungo e che ha addirittura proprietà benefiche.

Ovunque nel mondo i prodotti fermentati sono numerosi: gli alcolici sono prodotti della fermentazione, i formaggi, lo yogurt,  i salumi, il kimchi, i crauti, la salsa di soia, il miso, la salsa di pesce del sud est asiatico, il tabasco, il pane ecc.

Qualche cibo prodotto dalla fermentazione.

Molti alimenti acquisiscono stabilità e conservabilità grazie agli effetti della fermentazione.

La fermentazione può anche aumentare la digeribilità degli alimenti e rendere più disponibili i nutrienti che altrimenti non riusciremo ad assimilare.

Ci sono tantissimi tipi di fermentazione.

Ma ci sono procedimenti ben precisi comuni a tutti i metodi di trasformazione degli alimenti attraverso la fermentazione.

Il primo tipo di trasformazione che subiscono gli alimenti è come una pre- digestione e succede che i microrganismi iniziano a digerire i nutrienti e li scompongono in sostanze più semplici.

Ad esempio le proteine della soia vengono ridotte in amminoacidi, che in questa forma noi assimiliamo più facilmente.

Il lattosio nel latte ad esempio, che così tante persone hanno difficoltà a digerire, viene ridotto in acido lattico e quindi in yogurt. 

Ma forse il più importante beneficio dei cibi fermentati sta nella presenza degli stessi batteri, che conosciamo come probiotici.

Mangiare alimenti fermentati migliora la digestione e le funzioni del sistema immunitario, insomma ci fa bene!

IL PRIMO SUSHI ARRIVA IN GIAPPONE

Dal Sud Est asiatico, Cina e Corea, questo metodo di conservazione del pesce attraversò il mare grazie agli scambi commerciali e sbarcò finalmente in Giappone.

Migrazione del sushi
Il primo sushi arriva in Giappone

Ci troviamo nel 700 d.c circa in quello che in Giappone è chiamato periodo Heian (797-1185) e grazie ai contatti e scambi commerciali con la Cina della dinastia Tang, questo metodo di conservazione del pesce con il riso, viene ufficialmente adottato in Giappone con il nome di narezuzhi (“sushi che si trasforma”).

Ricordiamoci che ci troviamo in un’epoca dove non esisteva il frigorifero e quindi questo era il metodo migliore per conservare il pesce per tanto tempo!

Durante la stagione delle piogge in Giappone, laghi e fiumi si allagavano e il pesce veniva catturato nelle risaie in grande abbondanza.

La fermentazione del pesce con il riso era un modo per conservare il pesce in eccesso e garantire il cibo per i mesi successivi, e il narezushi divenne un’importante fonte di proteine per i consumatori giapponesi.

Ancora oggi viene prodotto un tipo di narezushi chiamato funazushi.

IL FUNAZUSHI, IL SUSHI PIU’ ANTICO DEL GIAPPONE

Il funazushi.

Il funazuzhi è il più antico sushi del Giappone e viene preparato ancora oggi nella città di Takashima, nella prefettura di Shiga.

Prefettura di Shiga in Giappone.

Si tratta del diretto discendente del pesce fermentato del Sud Est asiatico e difatti, come vedremo, la preparazione è molto simile.

La famiglia Kitamura è la più antica famiglia che prepara il funazushi come si faceva un tempo.

La famiglia Kitamura

Il suo negozio è stato aperto nel 1619 e da allora sono arrivati alla 18° generazione!

COME SI PREPARA IL FUNAZUSHI

Il pesce utilizzato per il funazushi è il carassio (Carassius carassius), chiamato in giapponese funa (da cui funa-sushi) o Nigoro-buna che abbonda nel lago Biwa, vicino alla città di Takashima, è un pesce d’acqua dolce (si trova anche nei laghi italiani, dove è noto come rumatera in dialetto veneto, Rügatèra in lombardo).

Il carassio usato per la preparazione del funazushi.
Il lago Biwa nella prefettura di Shiga in Giappone.

I carassi vengono pescati nella stagione prima che depongono le uova, si squamano bene e si tolgono le interiora, si risciacqua bene via il sangue.

Poi i carassi vengono cosparsi di sale su tutta la superficie.

In un grande vaso di terracotta, si mette del riso bollito.

Poi si riempie ogni carassio, testa compresa, con il riso bollito che creerà i batteri dell’acido lattico, ovvero i batteri buoni che permetteranno la conservazione del pesce e la sua fermentazione.

Si mettono i carassi farciti sopra il primo strato di riso e poi si ricoprono con un altro strato di riso, e così via fino a riempire il vaso.

Si sigilla il tutto con coperchio con sopra un peso, in modo da non far passare l’aria. Infine si lascia fermentare il tutto da 1 anno fino a tre anni.

Immagine realizzata da me.

Trascorso tutto questo tempo si apre il vaso e si tira fuori il pesce, durante la fermentazione le spine e le ossa del pesce sono diventate tenere e si possono mangiare insieme al pesce, mentre il riso, che è diventato poltiglia, viene buttato; ma in compenso i batteri dell’acido lattico contenuti nel riso hanno permesso al pesce di fermentare e trasformarsi in funazushi!

Il funazushi una volta pulito dalla poltiglia di riso (senza sciacquarlo), viene semplicemente servito tagliato a fettine.

Il funazushi pronto.

Il risultato finale a detta dei Kitamura è una versione “pesce” del prosciutto stagionato, con un sapore salato simile al caviale.

Altri sono meno d’accordo descrivendo l’odore del funazushi come puzzolente all’inverosimile.

Funazushi in ciotola.

Io non l’ho mai assaggiato me se mai lo dovessi assaggiare, vi farò sapere!

SI COMINCIA  A MANGIARE ANCHE IL RISO

Anche se il funazushi nacque originariamente per conservare il pesce, è più probabile che in Giappone questo piatto fosse diffuso tra la nobiltà poiché il riso era usato solo per conservare il pesce e veniva buttato.

Per questo motivo era tollerato l’uso del cereale come semplice mezzo per rendere aspro il piatto.

Anzi, il funazushi veniva addirittura usato come regalo, o tassa, da inviare alla nobiltà.

Inoltre essendo un prodotto fermentato non aveva problemi ad essere trasportato su lunghe distanze, infatti non era raro che venisse messo dentro un cesto e trasportato a dorso di cavallo.

Quando nel 1620, vennero fissate quali offerte il popolo dovesse offrire ai vari clan nobiliari, tra queste c’era il funazushi, che fu anche presentato presso lo shogunato (lo Shogun era il capo militare del Giappone, secondo solo all’ imperatore, ma che di fatto governava il paese al suo posto).

Ma presto la gente comune, che non amava affatto gli sprechi, ribaltò la situazione.

NASCE IL SUSHI SEMI-FERMENTATO

Durante il periodo Muromachi (1573-1603) infatti si iniziò a mangiare anche il riso, insieme al pesce fermentato.

Si iniziò a far fermentare di meno il narezushi in modo che i chicchi di riso non si disintegrassero

Ma poichè la fermentazione veniva interrotta prima, il narezushi non poteva essere conservato a lungo.

Questo tipo di sushi è conosciuto come namanare (traducibile come “semi-fermentato“).

Durante il periodo Muromachi il namanare era il tipo di sushi più popolare; era composto da pesce arrotolato nel riso, da consumarsi ancora fresco, prima che cambiasse sapore.

Questo nuovo modo di consumare pesce non era più legato alla necessità di conservare il pesce, ma divenne piuttosto un nuovo piatto della cucina giapponese.

Tuttavia, sorse l’esigenza di un consumo sempre più immediato, ma senza la fermentazione, non si poteva ottenere il giusto sapore aspro a cui ormai i Giapponesi si erano abituati.

Così si aggiunsero altri ingredienti per velocizzare la fermentazione o per dare il sapore acido al sushi, alcuni ad esempio ci aggiunsero il koji, un fungo filamentoso impiegato come fermentante, (usato per produrre il miso o il natto ancora oggi) in modo da raggiungere in poco tempo l’acidità desiderata.

Il koji, usato come accelerante per la fermentazione.

E questo diede vita a un tipo di sushi ancora oggi esistente chiamato Hatahata-zushi .

Hatahata-zushi (dalla prefettura di Akita)

O ancora ci fu chi provò con il sake, ci si accorse infatti che se lasciato fermentare poteva diventare aceto. 

A quel punto molti pensarono: “ma allora usiamo l’aceto sin dall’inizio!” e lo aggiungerò al sushi.

All’inizio l’aceto fu utilizzato solo per velocizzare il processo di fermentazione, ma poco a poco la sua percentuale aumentò.

ARRIVA IL SUSHI MODERNO

Il sushi come lo conosciamo oggi, però, ha origini molto più recenti ed è nato a Tokyo, o meglio Edo, come era chiamata anticamente.

In Giappone quest’epoca è chiamata Periodo Edo (1603-1868).

L’antica Edo dipinta da Katsushika Hokusai nella prima metà del 1800.

Ci troviamo intorno al 1830 e proprio a Edo fece il suo debutto il nigiri sushi che fu un’invenzione dei commercianti dei Quartieri popolari.

nigiri sushi
Nigiri sushi oggi

Al tempo Edo non era ancora la capitale del Giappone, lo diventerà solo nel 1868, a seguito della restaurazione Meiji, con il nome di Tokyo (“capitale orientale”).

Quello di Edo (Tokyo) fu l’origine del Sushi come viene inteso oggi da molte persone.

GLI “INVENTORI” DELL’ NIGIRI (EDOMAE SUSHI)

La storia narra che i primi ambulanti a proporre il nigiri sushi furono Hanaya Yohei o Matsugoro Sakaiya.

In realtà non è chiaro che sia stato il primo a produrre i nigiri, ma il primo a farne un lucroso affare è stato certamente Hanaya Yohei.

HANAYA YOHEI (1799 – 1858)

Hanaya Yohei

Nato nel 1799 da un venditore di ortaggi, il giovane Yohei lasciò Tokyo in seguito alla morte della madre, all’età di 9 anni (?!) cominciò a lavorare nel campo dei prestiti.

A vent’anni si ritirò dal settore finanziario e si cimentò con negozi di antichità e dolcetti secchi e ogni sera vendeva sushi lungo le vie del suo quartiere.

Fino a quel momento, il sushi veniva preparato con mucchietti di riso cotto al vapore su cui si metteva un pezzo di pesce, lasciando il tutto a riposare per due o tre ore in strati separati da foglie di bambù.

Ryūryūkyo Shinsai “sushi e il sakè del nuovo anno”, 1810.

Le foglie venivano poi tolte prima di consumare il cibo.

Yohei non aveva la pazienza di sprecare tanto tempo in quel procedimento, inoltre aveva notato che premendo il pesce nel riso ne usciva del grasso, e la polpa perdeva sapore.

Così Inventò un procedimento chiamato haya-zushi ovvero “sushi veloce”.

In pratica per dare il sapore acido del fermentato al sushi, Yohei utilizzò l‘aceto di riso, con zucchero e sale.

Creando il prototipo dell’aceto per sushi che si usa ancora oggi.

Era nato un nuovo sushi chiamato (haya-nare o hayazushi, il “sushi veloce”).

Una più antica illustrazione del sushi di Hanaya Yohei, disegnata da Gyokusho
intorno al 1877.

In questo modo il sushi era subito pronto e le porzioni venivano preparate sul posto e consumate subito

Alla fine Yohei riuscì ad aprire nel 1824 il suo ristorante che chiamò “Yoheizushi”, in un quartiere in cui la vita e i commerci nuotavano intorno alle lotte di sumo, e arrivò ad avere tra i suoi clienti molte famiglie Samurai.

Il ristorante di Yohei.

Quello di Yohei non era più un semplice banchetto di sushi all’aperto, ma un vero e proprio ristorante che serviva sushi di qualità.

Anche prima dell’arrivo di Yohei, pare che Edo avesse un ristorante di lusso chiamato Matsuga il cui proprietario, Matsugoro Sakaiya, sembrava fosse nativo di Osaka e vendesse il sushi in scatola tipico della sua città natale, usando sgombri e sugarelli.

Sushi in stile Osaka.

Matsuga era così popolare (anche lui a quanto pare tra le famiglie Samurai) che dopo aver ordinato bisognava mettere in conto una lunga attesa. 

Yohei e Matsuga ristoranti di Sushi dal taglio formale i cui commensali sedevano sul tatami, hanno resistito entrambi fino al ventesimo secolo.

Ma quando Yohei morì nel 1858 il sushi era più che altro un cibo semplice senza pretese, prodotto in rivendite per l’asporto oppure nei banchetti per la strada.

IL NIGIRI SUSHI DIVENTA UN CIBO SUPER RICHIESTO

Che sia stato Yohei o no, ad invernare il nigiri, quello che sappiamo è che in questo nuovo sushi non c’era più alcuna traccia di fermentazione.

L’haya-zushi era assemblato in modo che pesce e riso potessero essere consumati nello stesso momento; divenne un piatto unico nella tradizione giapponese: per la prima volta il riso non era utilizzato per la fermentazione e le sue proprietà di conservante.

L’ EDOMAEZUSHI (IL NIGIRI)

Il sushi di Tokyo, quello che noi chiamiamo nigiri, era chiamato edomae, letteralmente “davanti a Edo” (l’antico nome di Tokyo).

Sebbene oggi questa espressione significhi “davanti alla Baia di Tokyo”, dove si pescano i pesci, all’epoca la dicitura corretta era edo-jomae ovvero “davanti al Castello di Edo”.

Castello di Edo.
Il castello di Edo nella seconda metà del 1800.

La parola edomae è rimasta di uso comune e indica tutt’oggi il sushi di Tokyo.

Questo neonato nigiri sushi divenne rapidamente popolare a Edo perchè molto pratico da mangiare e veniva venduto nelle bancarelle in città, e in breve tempo guadagnò una buona reputazione in tutto il paese.

Utagawa Kuniyoshi, 1844

Nel frattempo Edo stava cambiando, e dove un tempo c’erano le casette di legno ora sorgevano fabbriche, ciminiere e segherie.

Gli operai affluivano a Edo dalle campagne, i negozi che vendevano cibo e bevande a poco prezzo si moltiplicavano per venire incontro alle loro esigenze e il nigiri sushi era perfetto per le esigenze di quella nuova categoria di consumatori. 

I PRIMI BANCHETTI DI SUSHI

Intorno al 1852 Il critico sociale Morisada Kitagawa lamentava già la proliferazione dei banchetti di sushi, e notava che in ogni quartiere di Tokyo parevano superare i ristoranti di pasta di circa 150-1.

I primi banchetti di sushi erano molto semplici: si trattava di banchetti pieghevoli, di modo che bastavano due persone a trasportarli per mezzo di un bastone (più tardi si molti si sarebbero dotati di ruote) e di solito tornavano nello stesso posto tutte le sere, mentre durante il giorno erano chiusi. 

All’epoca un giovane e ambizioso chef non aveva bisogno di molto denaro per entrare nel giro dei banchetti, e molti lo facevano con lo scopo di racimolare denaro a sufficienza per aprire un ristorante.

Il sushi era diventato lo spuntino irrinunciabile di Edo preparato con una grande varietà di ingredienti: scampi tonno, anguille e aringhe ecc.

Naturalmente il neonato nigiri sushi era totalmente diverso da oggi: per prima cosa era molto economico al pezzo, in più la grandezza era circa tre volte maggiore di quella attuale e il pesce veniva lessato, arrostito o marinato nell’aceto, per insaporirlo a dovere, ma comunque non veniva ancora servito completamente crudo.

Per conferire al cibo l’acidità senza farlo marinare, i cuochi condivano il riso con sale o aceto (ma non zucchero), e alcuni servivano lo zenzero sotto aceto come contorno. 

Anche molti pesci erano leggermente salati o acetati, mentre il tonno veniva preparato come tsuke, cioè marinato in salsa di soia.

I migliori ristoranti proponevano ingredienti cotti, che i commensali consideravano più pregiati.

Però man mano che i banchetti per strada venivano sollecitati a produrre quantità di sushi sempre più ingenti, le guarnizioni di pesce cotto furono abbandonate a favore degli ingredienti crudi e pronti da mangiare

Banchetto di sushi (dettaglio) Utagawa Hiroshige, dipinto tra il 1841-42

Quando usavano i pesci ricchi di tossine, come le aringhe americane, i cuochi aggiungevano sotto la polpa un pizzico di radice di rafano, detta wasabi, per diluire il potenziale velenoso.

Radice di Wasabi.

In sostituzione della marinatura, alcuni banchetti mettevano a disposizione salsa di soia in cui intingere il sushi.

In sostituzione degli aromi della marinatura, alcuni banchetti mettevano a disposizione salsa di soia in cui intingere il sushi.

Le porzioni erano grandi e occorrevano due morsi per finirle; ed era normale fermarsi a mangiare due o tre dopo essere stati a bagni pubblici o di ritorno dal lavoro. 

Cinque clienti potevano affollare un banchetto, e mangiavano sul posto, in piedi mentre il cuoco stava inginocchiato su una sedia e preparava il cibo.

Lavorava da solo, occupandosi della cassa e anche di servire il tè in grandi tazze tipiche. 

Grazie al fatto di offrire il pesce fresco a piacimento velocemente e a poco prezzo in un ambiente senza pretese, i banchetti di sushi hanno conquistato subito il gradimento degli abitanti di Edo.

ARRIVA LA REFRIGERAZIONE

All’inizio del ventesimo secolo si diffuse l’uso delle ghiacciaie, che facilitavano la conservazione del pesce. 

Ben presto i giapponesi cominciarono a considerare un potenziale ingrediente del Sushi qualunque pesce che potesse essere servito crudo come il sashimi.

sashimi.

Il sushi divenne così amato che molti iniziarono a prepararlo anche a casa.

Un libro di ricette per la cucina domestica pubblicato all’epoca, suggeriva di usare il prosciutto e altri carni affettate, assieme a pezzi quali il pepe nero per preparare il Maki, un tipo di involtino veloce ricavata avvolgendo il riso e altri ingredienti nelle stesse alghe utilizzate per confezionarli. 

La gente non vedeva l’ora di creare nuovi tipi di sushi e questo contribuiva ad aumentare il numero di ingredienti utilizzati.

Il nigiri veloce alla maniera di Tokyo era sempre più distante dal suo antenato lento e intensamente fermentato ancora molto diffuso in altre zone del Giappone. 

Ma tutto ciò cambiò dopo il grande terremoto di Kanto del 1923, che rase al suolo gran parte di Tokyo e ha segnato bruscamente la fine della crescita della capitale nel periodo post-Edo.

Edo distrutta dal Grande terremoto del Kanto del 1923.

Con i loro locali distrutti e l’economia cittadina devastata, molti cuochi di Tokyo sopravvissuti si trasferirono in altre parti del paese dove vi introdussero il nigiri. 

Nei dieci anni successivi, il sushi alla maniera di Tokyo, l’edomae, sushi si diffuse al di fuori del Giappone, quando iniziò ad invadere i paesi vicini.

IL NUOVO SUSHI SI DIFFONDE FUORI DAL GIAPPONE

Durante l’occupazione giapponese in Corea (dal 1905 al 1945) e in Cina, (triste macchia della Storia Giapponese) i civili giapponesi, cuochi inclusi, iniziarono a trasferirsi all’estero, nei territori occupati della nazione, e vi portarono il sushi.

Alcuni stranieri manifestano resistenze al pesce crudo, ma apprezzavano il Maki con altri ingredienti: ad esempio i coreani hanno adattato i grossi involtini detti futomaki trasformandoli nei loro gimbap (che non ha il pesce crudo).

Il gimbap coreano,

“SUSHI DA BORDELLO”

In Giappone nel periodo precedente alla seconda guerra mondiale c’erano tremila locali di sushi che operavano nella zona di Tokyo, e 800 erano banchetti.

Nel 1939, però per ragioni legate al traffico e alla salute, l’amministrazione cittadina li fece chiudere: erano così diffusi nei quartieri a luci rosse che ogni cibo di bassa qualità servito in luoghi pubblici veniva comunemente definito “sushi da bordello”. 

Molti proprietari di banchetti hanno dovuto abbandonare l’attività, altri trasferirsi al chiuso.

Una volta passati all’interno dei locali, le posizioni si sono invertite: i clienti si sedevano, e i cuochi cominciarono a lavorare in piedi. 

Alla fine degli anni quaranta, il Giappone ha dovuto affrontare una grave mancanza di risorse alimentari, a causa sia della devastazione bellica, sia delle restrizioni imposte durante l‘occupazione americana, compresa la legge del 1947 che vedeva i ristoranti di operare all’aperto. 

Questo spinse i commercianti a creare i primi veri ristoranti di sushi e fu dunque in questo periodo che il sushi divenne un piatto elitario e costosissimo.

Vista la scarsità di pesce si diffuse ancora di più lo stile dei nigiri perché in questo modo era più semplice creare porzioni standard.

I cuochi cominciarono a usare sempre di più ingredienti crudi, facilitati in questo dalla refrigerazione elettrica che negli anni cinquanta sostituì le ghiacciaie.

L’imperativo originario del Sushi, cioè conservare il pesce, era un fatto ampiamente superato. 

I migliori imprenditori del Sushi si erano ormai orientati verso l’impostazione dei ristoranti occidentali.

Yohei  e Matsuga avevano servito il sushi al tavolo, e già nel 1897 esistevano ristoranti con tavoli e sedie ad Asakusa, all’epoca uno dei quartieri più alla moda di Tokyo..

Ma da quando i banchetti sono stati scacciati dalle strade, il sushi ha cominciato a sviluppare una sua estetica specifica e unica. 

Portati all’interno, i banchetti hanno ottenuto una collocazione di rilievo, trasformandosi in veri e propri banconi con sgabelli e con lo chef che preparava il cibo di fronte ai commensali in piedi. 

I ristoranti hanno anche iniziato a servire alcolici e sushi e sakè sono diventate un’accoppiata naturale.

E’ stato un fornitore di attrezzature per ristoranti che, dopo la guerra, ha contribuito a introdurre gli elementi canonici di design del moderno Sushi Bar: lunghe tavole di pino per la superficie del balcone, e teche di vetro in cui il pesce poteva essere messo in mostra in mezzo al ghiaccio.

Questo fornitore cercò giovani promettenti chef e li aiutò ad aprire il loro ristorante in cambio di una percentuale sui guadagni, e quel tipo di look si è diffuso rapidamente ovunque .

Il sushi non era più un semplice street food….

ARRIVA IL KAITEN ZUSHI

Un’ulteriore svolta alla popolarizzazione del Sushi fu data da Yoshiaki Shiraishi.

Yoshiaki Shiraishi.

Shiraishi era un veterano dell’esercito che era riuscito a gestire in tempo di guerra un negozio di Tempura in Manciuria (nord-est della Cina), e aveva racimolato sul mercato nero di Osaka soldi a sufficienza per aprire il proprio ristorante nel 1947.

Pochi anni dopo avrebbe avuto l’idea destinata a riconfigurare per sempre l’economia e la cultura del Sushi.

Durante una visita didattica alla fabbrica di birra Asahi, Shiraishi rimase ipnotizzato dal nastro trasportatore su cui le bottiglie viaggiavano per la sala di produzione. 

Da sempre pieno di risorse ingegno (in seguito avrebbe inventato una toilette portatile), Shiraishi si mise ad abbozzare un’idea per adattare quella tecnologia al suo ristorante, e alla fine trovò un piccolo rivenditore locale di macchinari disposto a portare avanti il progetto.

Fu così che nel 1958, cinque anni dopo la visita alla fabbrica di birra,  nacque il primo ristorante con il sushi servito sul nostro trasportatore, il  “Genroku Sushi”

L’innovazione di Shiraishi è passata alla storia come kaiten-zushi letteralmente “sushi girevole”. 

Un kaiten zushi

Era una rivoluzione che coinvolse anche il ruolo del cliente: invece di indugiare in piedi occupando spazio prezioso al balcone i clienti del Kaiten-zushi, erano sollecitati a non perdere tempo

Una Domina che si strafoga al Kaitenzushi nel 2012..

Questo era uno dei punti di maggiore efficienza individuati da Shiraishi nel nastro trasportatore: gli chef sarebbero stati più produttivi potendo preparare il sushi senza aspettare le ordinazioni.

Inoltre non occorreva il servizio, bastava un cassiere che contasse i piatti presi dai clienti (spesso colorati in base a un codice che permetteva di conoscere il prezzo) dato che sui tavoli erano incorporati dei distributori di acqua calda in modo che ognuno si potesse preparare il proprio tè.

Torre di piattini di sushi destinata a salire ulteriormente.

In questo modo il prezzo del sushi tornò ad abbassarsi.

Dal momento della sua domesticazione forzata a Tokyo fino all’avvento del nastro trasportatore, il sushi era stato riservato per decine di anni quasi esclusivamente a una clientela di alto livello.

Gli sgabelli al bancone erano sempre occupati dai membri della classe dirigente, mentre per le classi medie una cena al sushi bar era un evento per occasioni speciali.

La rapida diffusione del kaiten sushi ha invece fatto rinascere interesse per questo cibo.

A un certo punto gli abitanti di Tokyo hanno ricominciato a considerare il sushi come il loro predecessori di Edo”.

I locali di Kaitensushi non hanno solo colonizzato ogni centro abitato del paese, ma hanno anche aperto la strada ad altri sistemi di vendita di sushi senza pretese e a prezzi economici come i locali per l’asporto, quelli specializzati in menù da 100 Yen o gli espositori refrigerati dei discount. 

Con la diffusione degli elettrodomestici e del frigorifero moderno si poteva avere il pesce sempre fresco.

In particolare gli anni sessanta, anni del boom economico, furono un periodo di grande crescita per il Giappone. 

Dal 1980 il sushi si è diffuso ulteriormente sia in patria che nel mondo riconquistando la posizione di piatto popolare che aveva all’origine.

Al giorno d’oggi è sia un bene di prima scelta, sia un cibo da assaporare senza pretese, ovvero un piatto che tutti possono gustare a seconda di tasche ed esigenze.

AVVERTENZE DALLA VOSTRA DOMINA🍓

Questo Post è frutto di duro lavoro e ricerca storica, siete liberissimi di diffonderlo a patto che citiate il mio blog❤️ 

BIBLIOGRAFIA

Issenberg S. L’onda del sushi, il pesce che ha conquistato i mercati del mondo, Trento, Sperling &Kupfer Editori, 2008, 324 p

A cura di Viti Stefania, L’arte del sushi, Milano, Gribaudo, 2015, 164 p.

Domina Historia

Storia, Cultura e Biografie con un tocco NERD!

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