Antica RomaCIBOCUCINA STORICASTORIA

QUALI CIBI MANGIAVANO GLI ANTICHI ROMANI?

Ciao Domini!

Avete mai pensato a cosa mangiavano gli Antichi Romani?

Se c’è una  cosa che accomuna i romani di oggi e quelli di ieri è sicuramente che ai romani piace magnà.

Ricette diverse, ingredienti diversi ma stessa passione per il mangiar bene.

Non è un caso che il ricettario occidentale più antico del mondo risale all’ Antica Roma.

Si tratta del De re coquinaria di Marco Gavio Apicio (vissuto tra il I secolo a.c e il I secolo d.c)

Ma il ricettario di Apicio non è certo l’unica fonte che abbiamo sulla cucina antico romana anche  il de agricoltura di Catone, il de rustica di Varrone o il De medicina di Cornelio Celso e molti altri ci aiutano ad avere un’idea di cosa e come mangiavano gli antichi romani.

COSA SI MANGIAVA NELL’ANTICA ROMA?

Scordatevi pomodori, peperoni, patate, cioccolato, carote arancioni, mais, melanzane, caffè, carbonara, supplì, e molti altri alimenti della “tradizione italiana”, perchè semplicemente non esistevano!

In realtà la cucina dell’Impero Romano assomigliava più a quella medio orientale che a quella mediterranea..

Sempre se eri abbastanza ricco da permetterti certi ingredienti, altrimenti campavi di zuppa de cavolo e minestre di legumi.

Ma quindi quali cibi si mangiavano nell’Antica Roma o più precisamente durante l’Impero Romano (27 a.c.-395 d.c. circa)?

Iniziamo dall’alimento base di tutte le civiltà.

I CEREALI

Il cereale romano per eccellenza era il FARRO (da cui deriva la parola “farina”).

Nella prima fase della storia romana (quella dei Sette re insomma), questo cereale era fondamentale per l’alimentazione dei primi romani: la zuppa di farro veniva mangiata quasi tutti i giorni (si lo so che tristezza).

Il farro veniva anche macinato per ottenere una specie di farina che fatta bollire con dell’acqua creava una sorta di bel pappone, la PULS o polta, alla quale veniva poi aggiunto qualsiasi condimento disponibile, legumi, verdure, piccoli residui di pesce o di carne per renderla più commestibile.

Il farro fu il solo tipo di grano conosciuto dalla popolazione del Lazio per più di 300 anni, e solo successivamente venne alternato con farina di orzo alla quale potevano essere aggiunti i semi di lino, come ci viene riferito da Plinio il vecchio nella sua storia naturale.

Il farro era così importante che durante il matrimonio tra Patrizi (confearreatio) i due sposi alla presenza del Pontefice Massimo (che non era il papa), mangiavano insieme una focaccia di farro.

Altri cereali utilizzati erano l’orzo (horedeum), il miglio (milium) e il panico (panicum) usati anche per la puls e l’avena, considerata però cibo per animali.

La segale (secale o centenum) e la farina di ghiande la mangiavi se eri disperato.

Poi Roma inizia ad espandersi e conquista nuovi territori tra cui la Sicilia, e dopo Cleopatra, anche l’ Egitto.
In questi territori si coltivava un nuovo e più allettante cereale, il FRUMENTO, che sostituirà il farro nella top five dei cereali dell’Impero.
Il frumento diventa così importante che vengono decretate tutta una serie di leggi “frumentarie” per distribuire il grano alla parte più bassa e più povera della popolazione.
Questi cereali venivano usati per creare un incredibile quantità di pani.
C’erano infatti molti fornai (pistores) che vendevano pani fatti con farine diverse a seconda dei gusti e della ricchezza del cliente.
Se eri molto ricco ti potevi permettere dell’ottimo panis siliginaeus, il pane più pregiato.
Andando a scendere c’erano il panis cibarius, secundarius, plebeius, fatti con farine di diverse gradazioni di setacciatura, fino all’ultimo, il panis rusticus, completamente integrale.
Per intenderci è come dire ai nostri giorni che la farina 00 è da ricchi e quella integrale per i poveri.
Il lievito per fare il pane veniva prodotto in Gallia e Spagna dalla schiuma che si formava durante la fermentazione della birra, ma il lievito più stimato si ricavava dal miglio.
Il riso invece era considerato un prodotto di lusso e veniva importato dall’India.
Veniva usato principalmente sotto forma di amido come legante nei cibi (come facciamo oggi con la maizena) e forse come cosmetico.

I LEGUMI

Erano l’alimento più consumato dalle classi povere e venivano usati alla stregua dei cereali.

Si mangiavano fave, lupini, lenticchie, ceci, piselli, cicerchie e una varietà di fagioli nostrani che oggi chiamiamo fagioli dall’occhio (tutti gli altri tipi di fagioli che consumiamo oggi vengono dall’America).

Fagioli dall’occhio.

VERDURE

Si mangiavano asparagi, carciofi, barbabietola, cavoli, cime di rapa, cardi, rape, aglio, cipolla, porri, zucchine e cetrioli.
E vari tipi di insalata: lattuga, crescione, cicoria, indivia, malva servite crude o cotte come antipasto.
Le verdure da insalata o che si potevano mangiare crude si chiamavano acetaria, perchè condite in genere con aceto e non avevano bisogno di cottura (quindi niente spreco di acqua e legna).
E proprio per questa loro caratteristica venivano fatte obbligatoriamente piantare dai legionari ai margini del loro accampamento (castrum).
Se te lo potevi permettere, potevi mangiare anche funghi e tartufi, considerati cibi raffinati come oggi.
Gli antichi romani avevano anche la zucca (cucurbita) ma di una varietà molto diversa (e dura) di quelle americane, la lagenaria siceraria detta anche zucca bottiglia.

Era una varietà così dura che se lasciata seccare e svuotata diventava una borraccia!

SPEZIE

Che ci crediate o no le spezie abbondavano nelle cucine delle famiglie abbienti, le più pregiate venivano importate dalle varie province dell’Impero.

Eccone alcune molto utilizzate: Pepe, zenzero, chiodi di garofano, zafferano, senape, cardamomo, semi di papavero, semi di finocchio, di cumino, di anice, di sedano, di sesamo, bacche di mirto, di alloro, di ginepro, menta, timo, santoreggia, origano, prezzemolo, levistico (sedano montano), cerfoglio, aneto, coriandolo, spigo o lavanda.

IL SILFIO
Un discorso a parte vale per la spezia chiamata SILFIO, (chiamato anche laserpicum o laser), questo perchè… non esiste più!
Cresceva solo ed esclusivamente in Cirenaica (attuale Libia), e si usava sia lo stelo, sia la radice che il succo resinoso.
Era così potente che una dose minima era sufficiente ad insaporire una vivanda, ed era così importante per la regione Cirenaica che la sua figura era incisa nelle monete fin dal 500 a.c.
Moneta di Cirene con rappresentato il leggendario Silfio.
Ma già all’epoca di Nerone la pianta era quasi estinta per il larghissimo consumo che se ne faceva.
Si pensa che possa corrispondere alla nostra assafetida (ferula asafoetida), usata nella medicina medio-orientale.
Ecco la definizione di Wikipedia dell’ assafetida:
L’assafetida o assa fetida (Ferula assa-foetida L.), detta anche finocchio fetido, concime del diavolo o sterco del diavolo, è una pianta della famiglia Apiaceae, originaria della Persia (Iran).

Il nome deriva dal persiano رزین (razin) che significa resina e dal latino fetida, aggettivo che ne descrive l’intenso e sgradevole odore.[2]

Una volta cotta conferisce ai preparati un aroma simile a quello dell’aglio.

Comunque il sapore del silfio dovrebbe essere amarognolo, con sapore di aglio.
Pianta di assa fetida che potrebbe essere il leggendario Silfio

CARNI

Se amate la fiorentina, mi dispiace ma nell’antica Roma non la troverete, la carne bovina infatti era poco presente, questo perchè  i bovini servivano nei campi e morivano vecchi e stanchi con la carne dura come una suola di scarpa.
Le carni preferite dai romani erano invece quella di maiale (sus), agnello e capretto.
Ma gradivano molto anche il pollo, oche, anatre, piccioni, colombacci.
Pollo numidico, ricetta preparata da me dal ricettario di Apicio.

Se eri molto ricco potevi gustarti anche cicogne, merli, pavoni, gru, pellicani e fenicotteri, provenienti dalla terre conquistate e molto costosi.

Tra la selvaggina c’erano le lepri, cinghiali, pernici, fagiani, cervi, caprioli, tordi e beccafichi considerati cibi raffinati.
Ah i romani adoravano anche le lumache, mentre le rane venivano consumate maggiormente in Gallia (Francia).
Ma non eri un vero romano raffinato se non mangiavi il fegato d’oca!
Negli allevamenti specializzati le oche venivano ingrassate a forza con fichi e vino al miele (poveri animali).
Sì, i francesi non si sono inventati niente.
Il fegato di queste oche era chiamato iecur ficatum (“fegato ai fichi”).
Non esistendo il frigorifero la carne veniva conservata attraverso salatura, affumicatura, conservata in miele o essiccata.
Ovviamente c’erano anche tutti i sottoprodotti della carne come il lardo, il grasso più usato in cucina, salsicce di ogni tipo (la più apprezzata era la salsiccia lucana) e prosciutti. 
Con il sangue di maiale si facevano sanguinacci, mentre con i piedini, testina, e cotenne si preparavano le zuppe.
Una ricetta molto raffinata erano le tettine di scrofa.
La carne veniva venduta a Roma nel forum boarium (mercato dei bovini) e al forum suarium (mercato dei suini) e in altre botteghe in cui si vendevano ovini e pollame.
Altri animali molto apprezzati erano i ghiri, considerati una vera leccornia per palati raffinati, erano così richiesti che, oltre ad essere cacciati, venivano anche allevati.
Apicio li consiglia cucinati al forno ripieni.

PESCI

Nell’Antica Roma la varietà (e qualità) del pesce era decisamente elevata.
Sarde, sardine, acciughe e sgombri, orate, saraghi e torpedini, sogliole, tonni, dentici, scorfani, muggini, pescirospo, passere, lamprede. Ma anche aragoste, ostriche, calamari, seppie, polipi, mitili.
C’erano anche gli allevamenti di ostriche e mitili per rifornire le dispendiose tavole dei ricchi romani.
Con i pesci azzurri i romani facevano la famosissima SALSA GARUM.
Era una salsa di pesce fermentato, molto saporita che possiamo gustare ancora oggi nella versione semplificata, con la colatura di alici di Cetara o nei paesi asiatici come Vietnam e Thailandia con la salsa nuoc mam.
Puzza ma è buona, provare per credere.
Il garum è l’ingrediente fondamentale per poter realizzare la maggior parte dei piatti romani, perchè lo usavano al posto del sale e perfino nei dolci!
Produzione di salsa di pesce ai giorni nostri.

Ma i pesci venivano anche conservati con la salatura, l’affumicatura ed essiccazione come nella carne.

I romani preferivano i pesci di mare a quelli di acqua dolce, ma mangiavano entrambi.
Tra i pesci di acqua dolce adoravano le anguille e il pesce persico.
Erano così golosi di pesce che oltre rifornirsi al forum piscarium (mercato del pesce), li allevavano anche in enormi vivai.
I ricchi che potevano permetterselo avevano nelle loro ville anche delle vasche per pesci (piscinae).

FORMAGGI

II romani amavano i formaggi fatti con il latte di capra e pecora.
Li amavano così tanto che a volte venivano regalati durante i Saturnalia (la festività romana simile al nostro Natale) con delle piccole dediche in versi.
Per cagliare il formaggio venivano usati o fichi rigurgitati da giovani ruminanti non ancora svezzati o succo di fichi, aceto o cardi.
Si mangiavano così come erano, o cotti o aggiunti a vari impasti.
Potevano essere insaporiti anche con spezie ed erbe varie.
I formaggi erano esportati in buon parte dei domini dell’impero come testimonia la radice della parola romana CACIO (caseus) da cui derivano le parole CHEESE in inglese, KASE in tedesco, KAAS in olandese e QUESO in spagnolo.
Ma i romani consumavano anche una specie di yogurt chiamato melca o oxygala, che si otteneva versando nel latte dell’aceto, per poi aggiungere della melca di vecchia data e altre erbe aromatiche.
Il siero scremato veniva usato come bevanda.
Il colostro (colostrum) ovvero il latte munto dalla pecora che ha appena partorito era considerato una vera ghiottoneria..

FRUTTA

Anche allora come oggi la frutta chiudeva il pasto.
“Ab ovo usque ad malum” si diceva, cioè dall’uovo alla mela (l’uovo era considerato l’antipasto per eccellenza).
Niente arance di Sicilia ragazzi, (quelle le porteranno gli Arabi nel 900 d.c!) di agrumi avevano solo limoni (malum medicum) e cedri.
Ma avevano molte varietà di mele (malum) e pere (pirum) , melograni , lazzeruole, mele cotogne (malum aureum) , prugne (prunum), more di rovo (rubus), gelso (morum), corniole, nespole (mespilum) e sorbe (sorbum).
Dal I secolo d.c il generale Lucullo, celebre per le sue cene, porta le deliziose ciliegie (cerasum) dal lontano Mar Nero.
Sempre nella stessa epoca arrivano le albicocche e le pesche dalla Persia (malum persicum).
Ma i frutti più romani e sacri di tutti erano i FICHI E L’UVA..
E’ sotto un fico (fico ruminale) che i piccoli Romolo e Remo furono allattati dalla lupa, questo fece del fico un albero sacro.
L’uva da tavola veniva chiamata uva cibaria e ovviamente si usava anche per produrre il vino.
Durante l’estate invece si poteva trovare refrigerio con i meloni e cocomeri.
In inverno come oggi si mangiava molta frutta secca come noci (nux juglans), nocciole (nux pontica), mandorle (amygdala), datteri (chiamati palmula quest’ultimi importati dall’Etiopia e Palestina), pistacchi (pistacium), pinoli (pinea nux), ghiande (glans) e castagne (castanea)
Ed infine ma non meno importante cerano le ‘OLIVE , che si mangiavano in salamoia o spremute per ricavarne l’olio.

MIELE

Era il dolcificante per eccellenza assieme ai datteri, fichi e frutta dolce.

BEVANDE

In campagna si beveva in genere acqua o latte (lac) di pecora o capra (i bovini erano molto pochi e comunque non si beveva il loro latte).
Il latte era utilizzato in prevalenza per la preparazione di dolci o per i bambini.

Se poi ti trovavi in una provincia desertica dell’Impero potevi bere del dolcissimo latte di cammella.

Mentre il latte di cavallo o asina veniva utilizzato solo a fini cosmetici.

Molto popolare era la POSCAuna bevanda composta da acqua e aceto, dissetante e rinfrescante era spesso usata nell’esercito per le truppe.

La BIRRA (cervisia) veniva prodotta fin dai tempi dell’Antico Egitto.

Ai tempi dei romani era una bevanda fermentata derivata dal frumento e dall’orzo, ma senza l’aggiunta di luppolo.

Senza il luppolo (aggiunto molti secoli dopo) la birra si conservava per breve tempo e non aveva quel leggero gusto amarognolo che tanto la contraddistingue oggi.

Veniva data come ricostituente ai malati e ai soldatacci delle guarnigioni provinciali, insomma era considerata un prodotto volgare!

Il prodotto TOP ovviamente era IL VINO.

Era la bevanda più apprezzata del mondo antico e nessuna cena di classe poteva definirsi tale senza la sua presenza.

La produzione era enorme ma tutti i produttori di vino dovevano perennemente lottare contro l’odiosa tendenza del vino a trasformarsi in aceto, soprattutto durante i trasporti!

Venivano quindi aggiunti al vino, stabilizzanti e conservanti di ogni tipo.

In Grecia si usava l’acqua di mare, Catone e Columella consigliavano la resina, catrame, radice di ireos, e di giaggiolo, o minerali di calcio o sali di piombo.

Dopo questi preparativi il mosto veniva messo in grandi giare di terracotta o botti di legno e travasato poi in anfore su cui veniva impresso il luogo di produzione, l’anno e la capacità del recipiente.

Da quel momento in poi il vino viaggiava per tutto l’impero.

Ovviamente le truffe del mercato del vino erano all’ordine del giorno.

Il vino dell’epoca era molto forte e non si beveva mai puro, ma annacquato.

Il rapporto di solito era di tre parti di acqua e una di vino, o due di acqua e una di vino.

Il vino veniva anche condito (vinum conditum) con spezie, fiori, e semi vari e perfino cotto (carenum).

Nelle cene delle classi agiate questo compito veniva affidato al sommelier (i cellarii) i quali utilizzavano un raffinato recipiente l’authepsa per miscelare il vino con le spezie e gli aromi.

Ah le donne, fino all’epoca Repubblicana, non potevano bere vino, pena la morte (e te pareva).

Ma con l’età imperiale le cose si ammorbidirono e anche le donne potevano darsi al vino e fare baldoria (più o meno).

Un vino scadente prodotto con le vinacce veniva dato agli schiavi.

Le zone di produzione più celebri erano la Campania da cui provenivano i celebri Falerno e il Massico, la Gallia che produceva vini aromatici e affumicati. Mentre dalla Spagna e la Grecia provenivano vini celebri come quelli di Cnosso, Cos e Rodi.

Sempre con il vino veniva prodotto il passum, un passito diremo oggi, prodotto dall’uva passa, ottimo per accompagnare i dolci.

Un prodotto particolare era il defruntum o sapa ovvero il mosto di vino cotto, (succo di uva fatto bollire e concentrato) molto utilizzato per le salse e i dolci, e sopravvissuto fino a noi in molte ricette di dolci tradizionali.

IL SALE 

Il sale (sal) nell’Antica Roma era così importante che i termini SALUTE (salus), SANITA’ (salubritas) e SALARIO (razione di sale che si dava come paga ai soldati romani) avevano come radice proprio questa parola.
Questo perchè il sale, oltre ad essere utilizzato per la conservazione degli alimenti, veniva usato anche COME FARMACO.
E una saliera d’argento era l’accessorio onnipresente in una tavola di un romano benestante…

MA DOVE SI CONSERVAVANO GLI ALIMENTI?

Ovviamente all’epoca non esistevano i frigoriferi.

E quindi dove si conservava il cibo?

Il vino, olio e bevande in grande quantità, come anche legumi secchi e cereali venivano conservati dentro enormi recipienti chiamati dolia e interrati.

Se l’alimento/bevanda doveva essere trasportato, si usavano invece le anfore (amphora) di terracotta, con collo stretto e lungo, sigillate con tappi di sughero o terracotta.
Erano ottime per trasportare i liquidi.
Mentre per la salsa garum si usavano anfore più piccole.
Ogni anfora era contrassegnata all’esterno dal marchio di fabbrica, da indicazioni sulla data di produzione (o di invasamento) e sulla quantità del prodotto contenuto.
Per l’uso famigliare invece gli alimenti venivano conservati dentro contenitori di terracotta più piccoli sigillati, o appesi in luoghi freschi e asciutti.
La carne veniva conservata o sotto sale o in contenitori di argilla pieni di mostarda. mentre la frutta poteva essere conservata con il miele in contenitori sigillati.
Le uova venivano conservate immerse nell’argilla.
Cestelli fatti con vimini ed erbe intrecciate erano ottimi per conservare noci, fichi secchi, datteri secchi, mele e  uva fresca.
Mentre dei secchi (situle), orci, brocche e bottiglie di metallo si usavano per conservare i liquidi in casa (vino, olio, acqua).
Bottiglie di vetro rivestite di fibre vegetali preservavano la temperatura dell’acqua bollita o della neve per diluire il vino in tavola.
Poi c’erano contenitori per alimenti più particolari..
Come il glirarium per l’allevamento dei ghiri.
Era un orcio di terracotta, di forma cilindrica, che aveva lungo le pareti dei fori e all’interno delle sporgenze a spirale usate dall’ animale per raggiungere le vaschette di cibo.

Se ti interessa ho realizzato anche un video su Youtube qui ⬇️

BIBLIOGRAFIA

Gozzini Giacosa Ilaria. A cena da Lucullo, 1986, Piemme

Apicio. Antica cucina romana, 2018, Ariccia (RM) Rusconi libri

Maria Luisa Migliari e Aida Azzola, Storia della gastronomia, 1978, Novara, Edipem

Alex Revelli Sorini, Tacuinum SPQR, 2008, Perugia, Alinoeditrice

Domina Historia

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