IL BALCONCINO DELLA MADRE DI NAPOLEONE A ROMA
Ciao Domini!
Oggi voglio parlarvi dell’esilio della madre di Napoleone, Letizia Ramolino a Roma e del suo famoso balconcino, (che io sono andata a visitare per voi), dove soleva affacciarsi per osservare il via vai dalle feritoie della verandina tra Piazza Venezia e via del Corso.


Ma come è arrivata Madama Letizia a Roma?
Facciamo un piccolo passo indietro nel tempo.
Napoleone aveva perso a Waterloo e Letizia Ramolino, sua madre lo vide per l’ultima volta il 29 giugno 1815, festa di San Pietro e Paolo al castello della Malmaison, il maniero tanto amato dalla prima moglie di Napoleone, l’imperatrice Giuseppina.

Le pareva di essere piombata in un incubo..
Suo figlio Napoleone l’aveva chiamata per dirle addio..

Poi Letizia dal 30 giugno al 19 luglio, rimase chiusa nelle sue stanze e guardata a vista, prigioniera nella residenza di Rue Mont Blanc, senza sapere niente dei suoi figli.
Metà della servitù era fuggita dal palazzo per tradimento o paura e il suo ex segretario l’aveva circondata di spie.
Alla fine arrivò il verdetto tramite una lettera
Insieme a lei, tutti i membri diretti e indiretti della famiglia Bonaparte erano stati esiliati dalla Francia.

Ma quasi nessun governo li voleva più accogliere, la maggior parte trovò rifugio in Italia, terra di origine dei Bonaparte dove vennero accolti, seppure con enorme discrezione, da papa Pio VII.
Nessuno osava più pronunciare il nome dei Bonaparte.
Letizia fu costretta a riprendere il suo cognome originale quello di Ramolino.
Alla fine si decise che Letizia sarebbe andata a Roma in esilio.
LETIZIA A ROMA
Nell’estate 1815 Letizia lasciò per sempre la Francia assieme a suo fratellastro il cardinale Joseph Fesch, esiliato anche lui.

Per tutta la durata del viaggio, vennero trattati come appestati dall’alta società e in Italia nessun principe italiano era disposto a riceverli.
Nonostante questo Letizia venne ricevuta benevolmente da papa Pio VII, fu lui a comunicarle che potevano risiedere a Roma.
Letizia giunse a Roma assieme a suo fratello su una carrozza verde con la grande “N ” Imperiale cinta d’alloro e tre api dipinte in oro sulle fiancate.
Inizialmente venne ospitata temporaneamente a Palazzo Falconieri in via Giulia (oggi sede dell’Accademia d’Ungheria) residenza di suo fratello Fesch.
Letizia andò ad abitare al primo piano del palazzo, Fesch aveva già il suo appartamento al secondo piano tappezzato dalle sue amate opere d’arte.
La sera stessa Letizia venne ricevuta dal segretario della Chiesa, il cardinale Ercole Consalvi.
Consalvi avvertì Letizia che d’ora in poi non si sarebbe più dovuta firmare Madame Mere, titolo che suo figlio le aveva dato quando era diventato imperatore, ma solamente col titolo di Madama.
Barricata nel suo appartamento a Palazzo Falconieri Letizia trascorreva le sue giornate lavorando al fuso e all’uncinetto, giocando a biliardo e tormentando il suo amministratore, la cameriera ai valletti, perché non dimenticassero di annotare anche le più piccole spese e non spendessero più dello stretto necessario.
Il denaro, la brillante vita che suo figlio le aveva permesso di condurre fino alla disfatta di Waterloo, non avevano cambiato il suo carattere.


Appariva come una leonessa silenziosa, ma feroce, pronta a trafiggere con le sue rare taglienti di parole.
I suoi modi erano sbrigativi, implacabile era la sua volontà, sua nuora Maria Luisa ne aveva sempre avuto paura: “ è una donna fredda” si lamentava.
Nel frattempo il cancelliere diplomatico austriaco Clemente di Metternich, usava tutta la sua influenza per esercitare uno stretto controllo su tutti i Bonaparte e le loro frequentazioni, si temeva infatti che la famiglia Bonaparte complottasse per far liberare Napoleone da Sant’Elena.
Letizia aveva deciso che era necessario ristabilire la verità, e aveva invitato i figli e le figlie a scrivere le loro memorie.
Anche lei aveva cominciato a dettare le prime righe alla sua lettrice Rosa Mellini, dettava in italiano, subito dopo la signora Mellini traduceva in francese.
“Non mi sono mai lasciata ingannare dalle grandi arie, dalle grazie e dalle lusinghe della corte, e se i miei figli avessero prestato più attenzione alle mie parole, si troverebbero in una situazione migliore di quella attuale.”
“Tutti mi chiamavano la madre più felice del mondo, mentre in realtà la mia vita è stata un lungo flusso di dolore e sacrificio. Con ogni lettera che arrivava, avevo sempre paura che portasse la terribile notizia della morte dell’Imperatore sul campo di battaglia.”
“La mia vita finì con la caduta dell’Imperatore. Da quel momento in poi ho mollato tutto. Niente più visite mondane di alcun tipo, niente più teatro, che era stata la mia unica distrazione nei momenti di tristezza. I miei figli e i miei nipoti mi hanno sempre pregato di andare a teatro, ma io ho sempre rifiutato, considerando l’invito stesso come un insulto. Non sono mai riusciti a comprendere, come me, l’abisso di umiliazione in cui sono stati gettati dalla morte dell’Imperatore.”
Letizia dormiva male e si svegliava presto, gli occhi sbarrati su l’antiquato ritratto di suo marito appeso alla parete di fronte al letto con la parrucca e le calze bianche di seta.
Si alzava all’alba e per tre volte si faceva il segno della croce.
Roma era una città che gli inglesi amavano molto, e molti erano amici dei suoi figli Luciano e Paolina: aristocratici, poeti, scrittori, cantanti, danzatori, pittori. Ammiravano Napoleone, chiedevano di conoscerla.
Fu Letizia la prima a scrivere a Napoleone quando arrivò a Sant’Elena:
“figlio, voglio raggiungerti io sono vecchia, potrei morire durante questo lungo e durissimo viaggio; Ma sarà sempre meglio che morire lontano da te.”
Nel frattempo Letizia non aveva saputo più niente di suo nipote il Re di Roma confinato a Schonbrunn a Vienna e separato dalla madre Maria Luisa, mandata a governare il Granducato di Parma.
Quando era stata insignita del titolo di Madame Mere, Napoleone le aveva messo a disposizione un milione di lire all’anno da distribuire a bisognosi di Francia e delle Nazioni sottomesse all’Impero, e anche ora in esilio a Roma lei continuava a provvedere ai miserabili di Roma.
Il cardinale le segnalava i casi pietosi, e lei firmava lettere di credito, ma in segreto perché più niente poteva ricordare al mondo il nome di Napoleone.
LETIZIA ACQUISTA PALAZZO RINUCCINI (FUTURO PALAZZO BONAPARTE)
Nel 1818 Letizia acquistò Palazzo Rinuccini, (oggi Palazzo Bonaparte) al prezzo di 27.000 piastre d’oro, palazzo dove Letizia abiterà fino alla sua morte nel 1836.
Palazzo Bonaparte era un armonioso edificio rococò, elegante e ben proporzionato con un maestoso portone su piazza Venezia e l’ingresso per le carrozze nel buio e strettissimo vicolo del piombo.
Letizia aveva occupato il primo piano, il secondo era riservato agli ospiti, il terzo alla servitù, il cardinale Fesch sarebbe rimasto a Palazzo Falconieri in via Giulia: aveva bisogno di spazio per la sua imponente collezione di quadri.
Una lunga fila di carri aveva scaricato le borse, le valigie e bauli in marocchino rosso con le sigle in oro S.A.I (sua altezza Imperiale) Letizia, il letto con le cortine di garza Bianca; la famosa pommier dell’ebanista Georges Jacob, una poltrona rigida con un bracciolo più basso dell’altro da accostare al camino.

I divani e le poltrone squadrate foderate di broccato verde o rosa, i tavoli e i tavolini rotondi con piano di onice e marmo pregiato, specchiere, consolle incorniciate di legno dorato (piccolo ripiano dalla forma stretta e lunga, che poggiava su due gambe, talvolta un’angoliera sospesa alla parete).
E poi ancora candelabri, avambracci, lampadari di bronzo, servizi da toeletta con le bottigliette di tartaruga, argento ecCristallo per il profumo, l’acqua di Colonia, l’anfora per l’acqua, i contenitori per il sapone e il dentifricio, i pettini e le spazzole, gli orologi a pendolo da tavolo e da tasca, elegante e leggeri, gli sterminati servizi da tavolo in porcellana di Sèvres,
Quelli di Vermeil chiusi in casse di cuoio imbottito di seta rossa tessuta con le aquile Imperiali,
le posate d’argento coi manichi di madreperla, e tartaruga i pesanti medaglieri contenenti le medaglie con incise le teste di Napoleone e del Re di Roma, eccetera eccetera.
Insomma, la sua grande disgraziata famiglia ripetuta come un’ossessione o come un incubo in lunghe file sulle pareti, negli angoli del salone, del salotto, nella stanza da letto nella galleria.
Aveva ordinato che tutto fosse disposto come se ancora si trattasse di ricevere gli ospiti nella sua funzione di Madame Mere.
Invece non riceveva nessuno, non poteva, e chi arrivava si fermava poco per non destare i sospetti: a ogni angolo di strada, e forse anche dentro casa, erano appostate le spie dell’ambasciatore di Francia e dell’austriaco Metternich.
L’aristocrazia Romana sarebbe stata curiosa di incontrarla, però nessuno la invitava per non scontentare il papa e gli ambasciatori.
La principessa Doria, che aveva il palazzo accanto al suo, e la duchessa di Devonshire, che aveva una delle più belle case ai piedi di Trinità dei Monti, insinuavano che fosse avarissima.
Lady Sydney Owenson Morgan, famosa scrittrice inglese, fiera sostenitrice di Napoleone, andava invece a trovarla spesso, e ogni volta tornava a casa con un quaderno fitto di ricordi e memorie.
Nel frattempo Letizia aveva saputo tramite le sue fonti, che Napoleone a Sant’Elena era ammalato. Aveva subito un forte attacco di dissenteria e non si era più ripreso. aveva spesso dolori addominali, che tuttavia rifiutava di curare con le medicine.

LA VEGGENTE
Letizia sempre più preoccupata per Napoleone, iniziò a cedere un po’ alla follia .
Alla sua porta si era presentata ( non si sa se qualcuno gliel’aveva mandata o se l’aveva cercata lei), una veggente austriaca.
Diceva di chiamarsi Kleinmuler e le disse di essere il diretto contatto con la Madonna, e che quest’ultima Madonna gli aveva assicurato che Napoleone stava bene.
Era quello che aspettava da quattro anni, qualcuno che le dicesse che le sofferenze di suo figlio erano finite. Napoleone stava bene.
Ma Paolina, Luigi e Luciano erano convinti che fosse una spia mandata da Metternich, ma ancora di più li spaventava la quantità di denaro che l’austriaca spillava a Maman.
La spilorcia e oculata Maman pagava, e pagava sempre di più, purché la Kleinmuller le portasse le notizie che voleva ricevere: Napoleone non era malato, tutto quello che le aveva scritto da Sant’Elena erano invenzioni, cattiverie, bugie.
Nel salone al piano nobile di Palazzo Bonaparte, l’austriaca stava ore e ore in preghiera, accendeva candele, si inchinava fino a terra, digiunava.
L’appartamento di Letizia si era trasformato in un santuario, le candele ardevano giorno e notte davanti al busto di Napoleone e le innumerevoli immagini della madonnuccia della Misericordia di Ajaccio.
LA MORTE DI NAPOLEONE
I dolori allo stomaco di cui già soffriva da tempo, acuitisi a causa del clima inospitale dell’isola e il duro regime impostogli, condussero infine Napoleone alla morte il 5 maggio 1821 alle ore 17:49
Napoleone era morto ufficialmente di cancro allo stomaco a 51 anni.

Purtroppo a Roma le notizie arrivavano comunque con tre mesi di ritardo.
Alla fine si seppe della morte di Napoleone solo il 7 agosto, i fratelli di Napoleone lo scoprirono dai giornali e incaricarono lo zio Cardinale di informare Letizia, loro madre.
Quando Letizia lo seppe, le uscì un urlo disumano: come un latrato. Si aggrappò a un busto di suo figlio e lo abbracciò, poi svenne.
Si chiuse nella sua stanza per due settimane e non volle vedere nessuno.

Da ogni parte del mondo arrivarono messaggi di condoglianze, ma Fesch aveva dovuto rispondere per lei.
Perfino il Papa si era mostrato piuttosto sensibile. Lesse personalmente molte messe e per tre giorni non volle incontrare nessuno.
Il 18 gennaio 1822, Emmanuel Las Cases aveva pregato il cardinale Fesch di deporre ai piedi di Madame Mère le bozze dei tuoi primi tomi del “Memoriale di Sant’Elena”.
Gli anni passano e Letizia ormai non camminava più, gli occhi erano sempre più deboli, le tremava la mano.
Smise di scrivere di sua mano le lettere.
I romani la riconoscevano anche da lontano, del resto era inconfondibile: vestita di nero, silenziosa impettita, murata nel suo dolore.
Gli ordini della polizia pontificia erano tassativi: doveva passare come un’ombra, non poteva rievocare fantasmi, Napoleone andava sepolto negli inferi della memoria.
Ormai aveva la sensazione che i figli e nipoti si comportassero come se non esistesse. Fino ad allora nessuno aveva mai usato nasconderne nulla; del resto tutti sapevano che lei sapeva tutto.
Adesso però le cose stavano cambiando. Letizia aveva perduto il bastone del comando, la sua funzione di mater famiglia era ormai pura forma.
Napoleone era morto, non doveva più dimostrare di essere una madre guerriera, un modello Insuperabile lo specchio di ogni virtù.
Era preoccupata per i figli e nipoti turbolenti e irrequieti, oppure lontani e irraggiungibili come il Re di Roma (il figlio legittimo di Napoleone): lo chiamava ancora così, mai si sarebbe piegata a chiamarlo Franz Duca di Reichstadt come adesso lo chiamavano.
A sette anni dalla morte di Napoleone, I Bonaparte residenti a Roma erano ancora soggetti a incessanti persecuzioni dagli Ambasciatori austriaci, inglesi e francesi.
IL BALCONCINO DI LETIZIA A PALAZZO BONAPARTE
Negli ultimi anni della sua vita, Madama Letizia non usciva quasi più, quasi cieca, si recava spesso sul suo balconcino con Rosa Mellini, la sua dama di compagnia, e biografa, che le raccontava che cosa accadeva fuori.
Questo balconcino, esiste ancora oggi ed è visibile da Piazza Venezia, i romani lo chiamano “bussolotto” o “Mignano”.
E come ho anticipato all’inizio del post, sono andata a visitarlo per voi.
Attenzione Domini per entrare a Palazzo Bonaparte dovete pagare il biglietto dell’eventale mostra presente (io ho pagato 15 euro).
Una volta saliti al primo piano, dovete chiedere a una guardia del museo se può aprirvi il balconcino, perchè lo tengono chiuso a chiave.
In realtà questo famoso balconcino esisteva anche prima che Letizia comprasse il palazzo.
Attualmente il balcone comprende l’angolo tra via del Corso e piazza Venezia.
A questa loggetta si accede tramite una porta finestra dipinta alla pompeiana da un raffinato decoratore neoclassico.

Negli ultimi anni della sua vita Letizia stava molto spesso su questo balconcino chiuso che le permetteva di prendere un poco d’aria senza scendere in strada, ascoltando senza essere vista lo scalpito dei cavalli e il cigolio delle carrozze all’ora del passeggio verso il tramonto.

Anche le pareti e il soffitto del balcone a loggia sono istoriati da decori floreali e una semplice panca in legno lo percorre per tutta la lunghezza.







Apatica e assente per molte ore del giorno, Letizia tornava energica e lucida quando i nipoti le chiedevano di parlare di Napoleone.
Nonostante avesse ormai 84 anni e fosse molto ammalata Letizia era ritenuta ancora un soggetto da tenere sotto costante sorveglianza.
Gli stranieri di passaggio andavano dai suoi nipoti per ottenere un’udienza.
Se Letizia era in grado di riceverli, diceva umilmente “so bene che non è me che venite a rendere omaggio, ma la memoria dell’imperatore”.
L’ULTIMO RITRATTO DI LETIZIA
L’ultimo ritratto di Letizia venne realizzato da sua nipote Carlotta, che spesso scendeva a Roma ospite di sua sorella Zenaide a Villa Paolina. Andava a trovare la nonna quasi ogni giorno la nonna e prima che venisse l’estate le aveva chiesto il permesso di farle un ritratto ad acquarello.

Con fatica Letizia era stata messa a sedere sul letto: il lettino da campo dove Napoleone era morto a Sant’Elena, con le aste sormontate da aquile d’argento e le Cortine Bianche, avevano sorretto il suo corpo affaticato e dolente con tre cuscini foderati di lino.
Carlotta aveva lavorato in silenzio, anche Letizia taceva.
Posava con pazienza la sorte dei suoi pensieri insondabili. Sua nipote l’ aveva ritratta leggermente curva in avanti, il profilo forte, il volto sereno le mani incrociate sul grembo. E sotto in eleganti lettere a stampatello aveva scritto “Napoleone’s Mater”.
Maria Letizia Ramolino morì il 2 febbraio 1836, a ottantacinque anni, sola e quasi cieca, dopo essere sopravvissuta al marito per cinquant’anni e a Napoleone per quindici.
.
Letizia venne trasportata su un carro fino all’ingresso di Santa Maria Lata una chiesa piccola.
il corteo era ridottissimo, soltanto i valletti e le cameriere.
Neppure un fiore. La bara era stata consegnata al curato dal notaio.
Subito dopo il portone della chiesa era stato chiuso. Era stato proibito ai parenti di esporre fuori dalla porta del tempio lo stemma con l’aquila Imperiale e la sigla MN Mater Napoleonis listato a lutto.
Terrorizzato dalla sua presenza a Roma, Papa Gregorio aveva ordinato che, nell’atto di morte, fosse menzionata come “madre di cinque figli maschi”, evitando di citare il nome di Napoleone.
Letizia venne inizialmente sepolta a Roma, ma nel 1851 il suo corpo fu traslato nell’appena costruita Cappella Imperiale di Ajaccio, dove, nel 1951, fu traslato anche il corpo del marito Carlo.

Se v’interessa l’intera storia di Letizia Ramolino, madre di Napoleone vi lascio il link qui sotto del video che ho realizzato su Youtube⬇️
Bibliografia:
Edgarda Ferri, Letizia Bonaparte, Milano, Arnoldo Mondatori Editore, 2003, 318 pp.
Max Gallo, Napoleone la voce del destino, Milano, Arnoldo Mondatori Editore, 2000, 449 pp.
Max Gallo, I cieli dell’Impero, Milano, Arnoldo Mondatori Editore, 2000, 510 pp.
Sitografia:
http://www.napoleonbonaparte.eu/
https://fr.wikipedia.org/wiki/Liste_des_chevaux_de_Napol%C3%A9on_Ier
https://fr.wikipedia.org/wiki/Main_dans_le_gilet