LA STRANA STORIA DELL’IMBIANCHINO CHE RUBO’ LA GIOCONDA
Ciao Domini! Benvenuti in questo nuovo post!
Oggi vi racconto l’incredibile storia dell’uomo che rubò la Gioconda!
Una storia assurda, incredibile, ma assolutamente vera!
iniziamo!
Ci troviamo in Francia a Parigi, il 21 agosto 1911, è estate e fa caldissimo in città, ma due artisti, Louis Béroud e Frederic Languillerme, non si fanno spaventare dal caldo afoso e ansiosi di imparare dai grandi maestri, si dirigono entusiasti al museo del Louvre.
Come tutti i lunedì, quel giorno il Louvre è chiuso al pubblico, ma non agli artisti e studiosi, l’opera che vogliono studiare quel giorno i due amici è la famosissima Gioconda, capolavoro del maestro Leonardo da Vinci.

Ma giunti nel salone Carré i due artisti rimangono piuttosto scioccati nell’apprendere che la Gioconda… era sparita!
LA GIOCONDA E’ STATA RUBATA!
I due artisti si guardano straniti, la Gioconda che volevano studiare non c’è, “Sarà dal fotografo interno per una pubblicazione” ipotizza Laguillermie.

Béroud, stanco di aspettare, chiede notizie al brigadiere Poupardin , il quale impallidisce quando apprende che i fotografi non hanno la Gioconda.
Per prudenza si bloccano le visite.
Siamo in agosto e fa caldo.
Il signor Homolle, direttore dei musei nazionali, è in vacanza, il ministro dell’istruzione Steeg al mare.

Il sottosegretario alle Belle arti del governo francese Dujardin-Beaumetz , lasciando l’ufficio, ha dato disposizioni di non essere disturbato dai funzionari, “a meno che il Louvre bruci e la Gioconda sia rubata”. In campagna troverà un telegramma che annuncia il furto della Monna Lisa. Pensa a uno scherzo degli amici e lo mette in tasca ridendo.

Dopo vane ricerche affannose, la direzione mobilita mezza Parigi.
Si precipitano al Louvre il capo della Sicurezza Hamard, il prefetto di polizia Louis Lépine, con la sua moderna brigata di agenti ciclisti.

Arrivano il giudice Drioux e Bertillon, fondatore del servizio di identificazione.
L’ALLARME
Appurato il furto tutto il personale del Louvre va in allarme, vengono bloccate le uscite, perquisiti i visitatori e si perlustra l’intero museo.
Vengono ritrovati la cornice e il vetro della Monna Lisa sulla scaletta della sala dei Sept Mètres e alla fine della rampa si scoprì che la porta a vetri era stata forzata ed era priva di pomello.
Essendo quell’uscita frequentata dagli operai, la Gendarmeria pensò che il ladro si fosse mescolato a loro o fosse egli stesso un lavoratore, pertanto tutto il personale stabile venne interrogato.
Viene lanciato un appello ai cittadini di Parigi e a chiunque avesse notato una persona sospetta in quei giorni nei pressi del Louvre.
All’appello risponde un impiegato che riferì di aver notato un uomo che si allontanava dal Louvre il lunedì mattina e che gettava un oggetto in un fossato vicino alla strada: lì fu ritrovato il pomello mancante.
Intanto il posto lasciato vuoto dalla Gioconda sulla parete del Louvre fu preso momentaneamente da un dipinto di Raffaello, il Ritratto di Baldassarre Castiglione.
LA NOTIZIA ESPLODE IN TUTTO IL MONDO
Il tempo passa e occorre rendere pubblica la notizia; l’indomani è giorno di apertura.
La notizia della scomparsa del capolavoro di Leonardo da Vinci, esce in tutti i giornali di Parigi e del mondo.
Inutile descrive l‘enorme scandalo che ne conseguì:
“Inimaginable”, titola il giorno dopo “Le Matin”.
“Le Figaro” urla alla nazione: “La Joconde a disparu”.
La crisi di Agadir che vede Francia e Germania sul piede di guerra finisce in seconda pagina.


Al Louvre, iniziano gli interrogatori di custodi e impiegati presenti (257 persone), si prendono impronte digitali a tutti. Il conservatore del museo offre per primo le dita al tampone inchiostrato. Sono 1350 i sospettati .
Si ipotizza il furto ad opera dei tedeschi, o a un collezionista pazzo. Fu seguita anche la pista del maniaco sessuale.
APOLLINAIRE E PICASSO INDAGATI
Persino il poeta Guillaume Apollinaire viene interrogato l’8 settembre. Lui, già poco gradito perché ebreo di origini polacche e per di più legato ai futuristi di Marinetti, se la vide brutta.

Restò dieci giorni in carcere. Era accaduto che il segretario tuttofare di Apollinaire, tal Géry Piéret , millantatore e mitomane, convinto a buona ragione che il Louvre fosse un colabrodo, qualche anno prima aveva scritto a un quotidiano di aver rubato dal museo alcune statuette fenicie (o iberiche?). Poiché quelle statuette non erano nemmeno inventariate, la direzione non aveva replicato, ritenendo che la denuncia fosse solo uno scherzo; e Gery Piéret le aveva rivendute per quattro soldi o regalate agli amici.
Dopo il furto della Gioconda tutto riaffiora. Essendo il segretario introvabile, la polizia va in casa del poeta e su un mobile nota due statuine provenienti dal Louvre, dono di Gery Piéret ad Apollinaire. Lo scrittore, sapendo che il suo uomo le sparava grosse e digiuno di arte fenicia, aveva creduto a delle imitazioni.
Le aveva persino prestate al suo amico Picasso, che ai visi delle sculture si era ispirato nel 1907 per “Les Demoiselles de Avignon”. Guai anche per Picasso quindi, che passò un brutto quarto d’ora.

Poi, scagionato, ci rise sopra al caffè con la battuta diventata famosa: “Amici,vado al Louvre, serve qualcosa?”.
A scagionare definitivamente i due amici comunque fu lo stesso ex segretario, con una lettera-confessione spedita dalla sua residenza nascosta.
LE INDAGINI CONTINUANO
Dopo aver escluso dalla responsabilità del furto il personale stabile del museo, la gendarmeria si concentra sui muratori, decoratori e il personale assunto per breve periodo o per uno specifico incarico, tutte persone i cui dati erano riportati sul registro delle commesse.
Tra questi uomini venne interrogato un certo Peruggia e la sua modesta stanza fu sottoposta a un’ispezione che ebbe esito negativo.
Insomma fu tutto inutile, La Gioconda era scomparsa nel nulla….
PASSANO DUE ANNI SENZA ALCUNA NOTIZIA DELLA GIOCONDA..
Ma un giorno di autunno del 1913 tutto cambia, quando in Italia, a Firenze, il collezionista d’arte fiorentino Alfredo Geri decide di organizzare una mostra nella sua galleria, tramite un annuncio sui giornali.


Tra le tante lettere giunte a seguito di quell’annuncio, una in particolare – proveniente da Parigi – colpisce Alfredo, la lettera infatti contiene una proposta per la vendita della Gioconda a patto che il capolavoro torni nasse in Italia e venga lì custodito.
La lettera era firmata da un certo Monsieur Léonard V.

Alfredo perplesso e allarmato decide di consigliarsi con Giovanni Poggi, direttore della Regia Galleria di Firenze, ovvero la Galleria degli Uffizi.

Con l’appoggio di Poggi (scusate dovevo fare sta battuta) Geri fissò un incontro con Monsieur Léonard l’11 dicembre 1913 in un albergo di Firenze, l’Hotel Tripoli, in via Panzani n 2.
L’INCONTRO CON IL MISTERIOSO MISTER LEONARD V.
Il giorno prestabilito Geri e Poggi si incontrano con il misterioso Mister Lèonard che si presenta all’appuntamento con il quadro, Alfredo fa esaminare il quadro a Poggi che dopo averlo visto visto, lo prende in custodia per esaminarlo.
Poggi non ha dubbi, quella è la Gioconda originale!
Il 13 dicembre avvisa i Carabinieri del ritrovamento e fa arrestare Mister Leonard nel suo albergo in via Panzani 2.

Mister Léonard viene così arrestato dai Carabinieri, i quali lo prelevano direttamente dalla sua stanza d’albergo Tripoli da cui non si era mai mosso.

Una volta arrestato Mister Leonard svela subito la sua vera identità, il suo vero nome è Vincenzo Peruggia ed è lui il ladro della Gioconda scomparsa due anni fa!
VINCENZO PERUGGIA IL LADRO DELLA GIOCONDA

Ma chi è Vincenzo? E perchè diamine ha rubato La Gioconda? E come ci è riuscito?
Adesso torniamo un attimo indietro nel tempo e ricostruiamo tutta la storia di Vincenzo e del furto della Gioconda.
Vincenzo nasce a Trezzino, frazione di Dumenza (Lombardia) l’8 ottobre 1881, segno bilancia
.

Il padre era muratore, mentre la madre Celeste si occupava dei lavori domestici e dei cinque figli: quattro maschi e una femmina.
Vincenzo già in giovane età apprende il mestiere di imbianchino e verniciatore, e segue per lavoro il padre a Lione in Francia, nel 1897.
Nel 1907 emigra in cerca di lavoro a Parigi. Qui si ammala di saturnismo, malattia dovuta all’intossicazione da piombo (metallo contenuto nelle vernici utilizzate dagli imbianchini).
Un giorno viene assunto dalla ditta del signor Gobier, venne mandato con altri operai al Museo del Louvre con il compito di pulire quadri e ricoprirli con cristalli: in tale veste compì il suo furto quella mattina del 21 agosto 1911.
COME E’ ANDATA VERAMENTE QUEL GIORNO?

Ecco la ricostruzione dei fatti per come ce la racconta Vincenzo.
Lavorando al Louvre fu molto semplice per lui rubare la Gioconda. Inoltre giù da tempo molti si lamentavano che la sicurezza del Louvre era pessima.
Inoltre era agosto, un mese dove l’affluenza al Louvre è scarsa e perfino il suo Direttore era in Vacanza.
Siamo nell’agosto del 1911.
Dal 1907 il Louvre è chiuso ogni lunedì. Serrato ma non vuoto. Hanno accesso artisti autorizzati a copiare le opere dei grandi maestri, pochi privilegiati e gli operai delle manutenzioni.
Vincenzo aveva scelto il lunedì 21 per il furto e aveva preparato alibi fin dalla domenica, organizzando una serata con gli amici del quartiere italiano al Cafè Rubichat dove canta, suona il mandolino, beve tanto che una guardia gli contesta schiamazzi notturni. Ma fa tutto parte del piano di Vincenzo perchè fingersi alticcio gli servirà per il piano del lunedì mattina.
Il giorno seguente, quello del furto, ovvero lunedì, Vincenzo esce di casa in Rue de l’Hôpital Saint Louis alle 7.15, di nascosto evitando madame Delò, la pettegola portinaia.
Entra al Louvre, passando sotto il naso del custode che sta sonnecchiando con la scusa che sta sveglio di notte, punta al Salon Carrè.
Stacca la Gioconda la porta al piano di sopra infilandosi in una scala di servizio. Toglie la cornice, nasconde la piccola tavola sotto il suo camiciotto da lavoro e torna a casa.
Da anni divide una soffitta con il cugino Luigi Badone.
Ma Luigi è già fuori. Nasconde il dipinto sotto il piano di un tavolino grande poco più dell’opera (77×53 centimetri).
Alle 9 e qualche minuto – capelli arruffati, camicia slacciata, giacca sul braccio – scende di corsa le scale facendo finta di essere in ritardo a lavoro.
Chiede l’ora a madame Delò, gridando a voce alta che per colpa della bisboccia domenicale non ha sentito la sveglia e corre verso il museo del Louvre.
Al Louvre sveglia con un rumoroso saluto il sonnecchiante custode, si scusa con il capo per il ritardo e inizia a lavorare…
Quando il furto della Gioconda viene scoperto, la Gendarmeria interroga anche lui. Vincenzo gli dice di aver lavorato con gli altri della squadra e di essere entrato e uscito insieme a tutti. Ma non basta gli viene fatta una perquisizione a sorpresa nella sua casa di Rue de l’Hôpital Saint Louis.

Ma Vincenzo non si fa spaventare, accoglie con gran sangue freddo gli agenti. Li lascia rovistare in ogni angolo e fece accomodare il Prefetto al tavolino che nascondeva Monna Lisa.
Anzi: il verbale venne firmato sul capolavoro nascosto da un tappetino.
Mezza Parigi fu messa sottosopra.
Non dormirono sonni tranquilli i responsabili del museo, messi in croce dall’opinione pubblica. Vincenzo Peruggia intanto si mette a studiare il modo di far rientrare la Gioconda in Italia, più che mai convinto che appartenesse al nostro Paese.Al Louvre Vincenzo ha capito come proteggere la Gioconda, sa che deve tenerla lontana dal sole in ambiente umidificato, ma poiché la stanza nella quale vive è molto umida e temendo che l’opera potesse danneggiarsi, la affida momentaneamente al compatriota Vincenzo Lancellotti, migliore amico di Vincenzo a Parigi, che abitava nello stesso stabile.

Trascorso un mese, dopo aver realizzato una cassa in legno nella quale custodire il dipinto, lo riprende e lo tiene con sé portandoselo in Italia nel suo paese d’origine a Trezzino.
E’ appunto in Italia che, due anni dopo, Vincenzo legge l’annuncio sul giornale di Alfredo Geri per l’organizzazione di una mostra nella sua galleria, il resto lo sappiamo.
MA COME PERCHE’ VINCENZO RUBO’ LA GIOCONDA?
Vincenzo affermò sempre di aver compiuto il furto per patriottismo in quanto la visione su un opuscolo del Louvre di quadri italiani portati in Francia da Napoleone Bonaparte provocò in lui un senso di vendetta: voleva restituire all’Italia almeno uno di quei dipinti, non importava quale. Inizialmente aveva pensato alla Bella Giardiniera, ma le sue enormi dimensioni lo avevano dissuaso.

Peccato che Vincenzo, come ancora troppi italiani, si sbagliava, perché la Gioconda non fece mai parte del bottino di guerra napoleonico: fu portata in Francia dallo stesso Leonardo dove ne è attestata la presenza fra le collezioni reali già dal 1625. La Gioconda venne infatti venduta dallo stesso Leonardo per 4000 scudi d’oro al suo protettore e re di Francia, Francesco I nel 1517.
Sua figlia Celestina ci dice anche che suo padre voleva beffarsi dei francesi, che ridevano per il suo mandolino, e lo chiamavano sprezzanti “mangia-maccheroni”.
Insomma Vincenzo non rubò la Gioconda per di arricchirsi rivendendo la Gioconda a mercanti disonesti. Tant’ è vero che quando la riportò in Italia si mise in contatto con un antiquario fiorentino per riconsegnarla agli Uffizi a Firenze
IL PROCESSO E LA CONDANNA DI VINCENZO

Vincenzo viene processato Il 5 giugno 1914 dal tribunale di Firenze, e riconosciuto colpevole con le attenuanti e condannato a un anno e quindici giorni di prigione per furto aggravato. Questa pena fu ridotta in appello il 29 luglio a sette mesi e otto giorni di reclusione.
L’ULTIMA BEFFA DI VINCENZO
Una volta scarcerato Vincenzo partecipò alla prima guerra mondiale e dopo la battaglia di Caporetto finì in un campo di prigionia austriaco. Dopo la fine della guerra, il 26 ottobre 1921, si sposò con Annunciata, di quindici anni più giovane.
Ma Vincenzo voleva tornare in Francia, solo che la Francia non voleva lui, gli era infatti stato espulso dal Paese come indesiderabile.
Ma Vincenzo questo non importava affatto e tornò in Francia lo stesso: utilizzando un espediente: sui documenti per l’espatrio sostituì Vincenzo con Pietro, suo secondo nome.
Si stabilì a Saint-Maur-des-Fossés, (san maur de fossè) nella periferia di Parigi.
Il 22 marzo 1924 nacque la sua unica figlia, Celestina, che ricordava come in paese da piccola la chiamassero “Giocondina”,
Celestina ci racconta che quando lei era piccola: “Papà era già famoso. Regalava anche cartoline della Gioconda firmate da lui”
Vincenzo morì l’8 ottobre 1925, il giorno del suo 44º compleanno, a Saint-Maur-des-Fossés a causa di un infarto e fu sepolto nel cimitero Condé.
Celestina è deceduta il 10 marzo 2011.
LA (BREVE) VITTORIA DI VINCENZO
Anche se pur con tutte le motivazioni sbagliate, la Gioconda grazie a Vincenzo rimase per un po’ inItalia!
L’atteggiamento delle Autorità italiane venne apprezzato in Francia, poiché i due Paesi coltivavano da circa dieci anni rapporti sempre più amichevoli.
Si poté così evitare che Parigi chiedesse una pena esemplare e concordare un lungo periodo di esposizione del dipinto in Italia (prima agli Uffizi a Firenze, poi all’ambasciata di Francia di Palazzo Farnese a Roma, infine alla Galleria Borghese in occasione del Natale), prima del suo definitivo rientro.

IL RITORNO DELLA GIOCONDA IN FRANCIA
La Monna Lisa arrivò in Francia a Modane (Francia sud occidentale) su un vagone speciale delle ferrovie italiane e fu accolta in pompa magna dalle autorità francesi, per poi giungere il 4 gennaio 1914 a Parigi dove, nel Salon Carré, l’attendevano il presidente della repubblica francese e tutto il governo.
Se vi interessa ho dedicato anche un video a questa storia che potete trovare qui ⬇️
FONTI:
https://stilearte.it/mio-padre-il-ladro-della-gioconda
https://www.finestresullarte.info/opere-e-artisti/furto-della-gioconda-vincenzo-peruggia
https://www.artonauti.it/pablo-picasso-e-il-furto-della-gioconda
https://monalisadocumentary.blogspot.com/2013/12/the-lancellottis-were-they-accomplices.html